La lezione di Jeff Buckley che aiutò Thom Yorke
Alla metà degli anni '90, reduci dall'enorme successo di "Creep", i Radiohead erano in crisi di identità. Il quintetto di Oxford voleva abbandonare la strada del facile (per modo di dire) ritornello per sperimentare qualcosa di nuovo. Chiaramente le loro etichette discografiche – Parlophone per la Gran Bretagna e Capitol per gli Stati Uniti - avevano una diversa opinione al riguardo e spingevano perché provassero a replicare il successo di quella che era ed è una delle canzoni più rappresentative degli anni Novanta.
C'era da mettere insieme il successore di "Pablo Honey" , il loro disco d'esordio pubblicato nel febbraio 1993. Le idee non mancavano, ma viaggiavano su un binario piuttosto diverso dai desiderata della Capitol che voleva ascoltare qualcosa che – a parere della discografica – potesse valere la pena, prima di far valere l'opzione per il secondo album. L'avete già capito: un qualcosa che rimandasse a "Creep" . Tra l'altro, anche il management della band iniziava a nutrire qualche dubbio sulla solidità dei ragazzi. Thom Yorke era davvero spossato nel fisico e nella testa, tanto da dichiarare all'NME: "Mentalmente ne ho abbastanza".
Il clima all'interno della band era pessimo. Il gruppo si chiuse nella sua sala prove a Oxford e, come raccontò Yorke all'NME, forse per la prima volta, ognuno parlò a cuore aperto, senza reticenze. "È venuto fuori tutto spontaneamente. Tutte le cose per cui avevamo sempre litigato e credo che, quando abbiamo formato la nostra piccola band, da bambini a scuola, non si trattasse mai di essere amici oppure altro. Anni e anni di tensione e di non dirci niente, fondamentalmente tutte le cose che si erano accumulate da quando ci eravamo conosciuti, sono venute fuori in un giorno. Sputavamo, litigavamo, piangevamo e ci dicevamo tutte le cose di cui non si vuole parlare e penso che se non lo avessimo mai fatto, credo che avrebbe cambiato completamente il nostro modo di fare."
I Radiohead decisero che erano necessari un cambio di location e una figura molto capace al mixer per dare vita al secondo album della band. Forse John Leckie, già alla produzione degli Stone Roses, poteva essere la scelta giusta. Leckie in un'intervista a Gearspace ricordò come andarono le cose: "Andai a una prova in un frutteto nella campagna vicino a Oxford. C'eravamo io, due manager, l'A&R Parlophone UK e l'A&R Capitol USA, tutti seduti nella stanza per ascoltare le nuove canzoni dei Radiohead. La band suonò trenta canzoni, tutte eseguite con passione. L'obiettivo era scegliere un singolo da registrare come seguito di "Creep", che ovviamente la band detestava."
Dopo alcune sessioni iniziali per i singoli, Leckie, il suo assistente Nigel Godrich e la band registrarono il resto di quello che sarebbe diventato "The Bends" tra i RAK Studios, i Manor Studio di Oxford e gli Abbey Road Studios. Leckie lavorò con la band per coltivare le loro idee, spingendo verso quei ritornelli radiofonici tanto desiderati da Parlophone e Capitol, ma lasciando comunque spazio per ampliare la loro creatività. Sebbene alcune canzoni abbiano avuto una nascita lenta e dolorosa, un brano chiave, "Fake Plastic Trees", un giorno sembrò nascere da Yorke in modo piuttosto spontaneo. Come ricordò Jonny Greenwood al The Nashville Banner nel 1995: "Di solito scriviamo una canzone tutti insieme, la componiamo come un tutt'uno. "Fake Plastic Trees" è stata realizzata da Thom che suonava da solo, aggiungendo gradualmente un elemento alla volta."
Questo brano acustico racchiudeva le ansie più intime di Thom Yorke. Le sue paure e frustrazioni erano incanalate in testi che risultavano al tempo stesso abbastanza profondi, ma anche ironici. Era piuttosto diverso da tutto ciò che fino a quel momento era stato messo in cantiere per "The Bends". Decidere cosa farne dal punto di vista dell'arrangiamento e della registrazione divenne un grattacapo per Yorke e Leckie, che era piuttosto preoccupato.
Allora John Leckie suggerì a Thom e al gruppo di lasciare lo studio e andare a un concerto di Jeff Buckley al The Garage di Londra, prima di fare ritorno più tardi la sera per provare finalmente a realizzare "Fake Plastic Trees". Al concerto di Buckley, Yorke, Greenwood e Leckie rimasero completamente affascinati dalla grande emotività messa in mostra dal musicista californiano. Ad Uncut un Colin Greenwood entusiasta raccontò: "Aveva solo una Telecaster e una pinta di Guinness. Fu semplicemente fantastico, davvero stimolante. Poi siamo tornati in studio e abbiamo provato una versione acustica di "Fake Plastic Trees". Thom si è seduto e l'ha suonata in tre riprese, poi è scoppiato a piangere. Ed è quella che abbiamo usato per il disco."
Non fu solo "Fake Plastic Trees" a prendere improvvisamente vita, ma l'intero "The Bends" . Al Denver Post Thom Yorke rivelò: "'Fake Plastic Trees' è stata una vera svolta per l'album. Il giorno in cui abbiamo registrato quella canzone è stato un vero incubo. Eravamo solo io e la mia chitarra acustica, ma c'era qualcosa di agghiacciante nell'aria. Eravamo lì da un mese, e quella è stata la prima volta che ho sentito una connessione con ciò che rappresentano i Radiohead". Temendo che la sua pura e cruda emozione potesse essere un po' troppo forte per essere effettivamente utilizzata su disco, Thom all'inizio era un po' imbarazzato per ciò che era appena stato registrato. Era scettico. Ma Leckie e il resto dei Radiohead erano sopraffatti da ciò che Yorke era riuscito a realizzare.
Al podcast The Singer's Talk Thom Yorke ha ricordato: "Quando ci siamo riuniti per ascoltarla, tutti hanno detto: 'Usiamo quella!', e io: 'No, no, non possiamo usarla, è troppo vulnerabile. È troppo da me'". Alla fine prevalse il gruppo e la versione finale in studio è la performance registrata quella sera, in tre take. Con le basi di "Fake Plastic Trees" già pronte, Leckie e il resto della band impiegarono altri mesi per rifinire il brano. Sempre in quella intervista il cantante dei Radiohead disse: "Avevamo l'Hammond collegato a tutti gli amplificatori per chitarra, ogni singolo effetto, tutte le manopole e gli interruttori funzionavano. Era assordante, riempiva tutto lo studio. Quella canzone avrebbe potuto facilmente suonare come i Guns N' Roses. Volevamo che suonasse come Phil Spector."
Anni più tardi, il chitarrista Ed O'Brien riferì a Guitar World, che quando si arrivò a "The Bends", la band si sentiva sempre più a suo agio nel lasciare Thom sotto i riflettori: "Eravamo ben consapevoli che c'era qualcosa in "The Bends" che non avevamo notato in "Pablo Honey": se suonava davvero bene con Thom in acustico con Phil (Selway, ndr) e Coz (il bassista Colin Greenwood, ndr), che senso aveva cercare di aggiungere qualcosa in più?".
Pubblicato come terzo singolo di "The Bends", "Fake Plastic Trees" era la canzone più rappresentativa dell'album. E forse c'è davvero lo zampino e l'anima del povero Jeff Buckley, Yorke lo confermò a The Singer's Talk. "Quando stavamo registrando il secondo disco, sono andato a trovare Jeff Buckley prima che morisse. Mi ha ricordato quella parte vulnerabile di me che avevo scelto di nascondere."